Micaela Zuliani e la scuola di fotografia boudoir

Micaela Zuliani e la sua scuola di Fotografia Boudoir

Vera, senza fronzoli, naturale, viva emozionante, l’essere per non apparire, questa è Micaela Zuliani. Gli appassionati di fotografia boudoir sicuramente la conoscono, per chi non la conosce basta solo dire che è tra le prime a livello internazionale ad occuparsi di questa nicchia con la sua fotografia boudoir, che ne ha fatto una vera e propria missione di vita, non solo per il suo stile fotografico ma per il messaggio culturale e sociale che vuole trasmettere.

Ciao Micaela, grazie mille per aver accettato quest’intervista prima di tutto. Per rompere il ghiaccio, parlaci un po’ di te, come ti è venuto in mente di creare una scuola per questo genere fotografico? Il nudo ancora oggi è visto come un tabù, figuriamoci 10 anni fa quando hai iniziato ad occuparti di questo settore. Quanto poteva risultare “insolita” questa scelta? Hai avuto paura inizialmente di non essere capita o magari fraintesa?

Fin da subito ho utilizzato la fotografia come mezzo per conoscere me e gli altri, sono sempre stata attratta dalla psicologia pertanto era inevitabile che il mio interesse andasse verso il ritratto. A questo si aggiunge un percorso personale iniziato con i disturbi alimentari fino alla consapevolezza del mio essere come persona e come donna, lavorando molto sull’autostima. Probabilmente non è stata una scelta casuale, ma un’esigenza interiore forte, una missione che doveva essere ascoltata e portata avanti.
Già dai primi servizi fotografici fatti alle donne, ho avuto la conferma di quanta richiesta ci fosse da parte delle mie clienti, nel sentirsi (e vedersi) bene con se stesse. Ci ho creduto totalmente e non c’è stato un giorno in questi dieci anni che abbia messo in discussione la mia decisione, sebbene il settore ancora oggi necessita di maggior tutela e riconoscimento. Sono indubbiamente una persona che ama le sfide e specializzarmi in un settore nuovo l’ho trovato molto stimolante. Certo non è per tutti, e non è facile, perché devi avere prima di tutto un forte intuito imprenditoriale, devi inventarti strategie di marketing, porre le basi su un mercato che deve nascere e confrontarti con quello estero.
Non mi è mai capitato di essere fraintesa, e non perché sono una donna, ma perché il fraintendimento non può esserci se ci si presenta in modo professionale, serio, trasparente. Fin da subito creo un contatto, cerco l’empatia, rispondo a dubbi e domande in maniera sincera, ma non forzo mai se sento che la persona non è del tutto pronta a mettersi in gioco sia nei ritratti, sia nella fotografia boudoir, tanto più col nudo.

Come descriveresti la fotografia Boudoir a chi non la conosce o si limita solo all’apparenze?
La fotografia Boudoir racconta la persona, dando tuttavia maggior risalto alla sua sensualità. Le fotografie sono spesso ambientate in ambienti domestici, intimi, quotidiani. E a differenza del glamour, i soggetti non sono modelli professionisti, ma persone comune, senza esperienza di posa e con inestetismi. Sia all’estero, sia in Italia questa fotografia è rivolta più alle donne, ciò non toglie che possa essere fatta anche agli uomini o alle coppie.
E’ una fotografia che viene commissionata per se stesse, per mettersi in gioco, per migliorare la propria autostima o per regalarsi una nuova immagine immortalata dopo una malattia o un periodo di grande cambiamento. In dieci anni posso dire che solo in tre casi il servizio è stato richiesto per un regalo al partner.
Tanti uomini comprano la fotocamera e iniziano subito a voler fotografare la donna, pensando che sia semplice, in realtà la fotografia boudoir è molto più complessa di quanto si pensa. Durante lo scatto devi mettere a tuo agio la persona, (approccio empatico/psicologico), raccontarla (ritratto), valorizzare il corpo osservando le pose, la scelta dei capi/props (consulente immagine), curare il set variandolo con oggetti di scena, complementi d’arredo. Tutto questo in pochi istanti, mostrando padronanza e professionalità.
In Italia si è diffuso qualche anno più tardi rispetto all’estero, ma la differenza sostanziale è che qui, solo negli ultimi anni lo si sta riconoscendo come settore vero e proprio, diverso dal ritratto, dal nudo, dalla fotografia erotica.

Ho visto che hai utilizzato la fotografia boudoir come una vera e propria terapia personale, un percorso di recupero per se stessi, recuperare la propria sensualità e accettazione del proprio corpo. Puoi raccontarci, ovviamente rispettando la privacy, un esempio di come funziona e di come ha funzionato questo tipo di terapia?
Noi siamo sempre il giudice più severo e ci prendiamo troppo sul serio. Come ti dicevo la mia esperienza passata in cui non mi accettavo, non mi amavo e non avevo un sano rapporto con il mio corpo, oltre ad un percorso di terapia, mi ha permesso di capire perfettamente le persone che si rivolgono a me.
In loro vedo me, conosco i meccanismi di autodistruzione – non accettazione e posso lavorare su un percorso di compassione, leggerezza, guarigione, attraverso la fotografia.  Tutto quello che propongo alle mie clienti l’ho provato io stessa in questi anni (con gli autoritratti) e lo hanno testato diverse psicologhe.
Le prendo per mano in un clima di gioco e di complicità, le rilasso con la musica, le stimolo a mostrare varie parti di se stesse, a tirare fuori le varie emozioni senza vergogna e questa è la prima parte dedicata ai ritratti emozionali. Dopodiché la persona che ormai si è lasciata andare si con me ma soprattutto con se stessa, acquista maggior libertà, leggerezza ed è pronta a giocare con la propria femminilità. E’ un viaggio che si fa in due, io con loro, che necessita di fiducia, sensibilità, onestà e che determina sempre un cambiamento positivo, perché escono dalla zona di confort supportate da una guida.

Guardando il tuo portfolio non ho potuto fare a meno di notare come i modelli si sentono sempre a proprio agio sia quando sono realmente nude, sia quando vengono spogliate dalle loro emozioni guardando nell’obiettivo. Quest’alchimia tra fotografo e modella come nasce? Credo che per poter esprimere quelle emozioni una modella deve potersi sentire libera, sicura.
Come ti dicevo prima l’empatia, l’interesse verso chi ho di fronte sono indispensabili. Si è più a nudo nei ritratti emozionali in cui si è vestite, rispetto alla fotografia boudoir con indosso la lingerie.
Come dico spesso ai miei corsi, la fotografia è seduzione, nel senso che con la fiducia e il convincimento (persuasione) porti la persona a lasciarsi andare e a divertirsi.

Parliamo ora di uno dei progetti più interessanti mai visti in Italia. Boudoir Disability. Scusami forse non te lo dovevo chiedere visto che ne hai già parlato in molte interviste ma permettimi, quello che hai fatto è davvero sensazionale, complimenti vivissimi. Sei riuscita a sdoganare molti paletti sulla disabilità portando alla luce un mondo che molti fingono non esista facendo un lavoro che ha riscosso giustamente numerosi riconoscimenti. Come è nato questo progetto e soprattutto, cosa ti ha insegnato? Cosa ha portato di nuovo dentro di te?
Grazie mille dei complimenti. E’ nato nel 2016,  da anni mi occupavo di Boudoir, Valentina Tomirotti mi ha contattato per fare delle foto diverse, ma in lei ho percepito subito una prorompente forza, ironia, cosi le ho proposto di fare delle foto sexy. Lei è scoppiata a ridere e ha subito accettato. Per me è stato normale, non ho fatto distinzioni tra lei e un’altra donna. E’ stato un’esperienza meravigliosa, lavorativa ma soprattutto umana.
La fotografia di ritratto mi ha cambiato molto, mi ha insegnato che ci sono tanti punti di vista non uno, quindi non si può giudicare l’altro senza conoscerlo. Ogni incontro è indubbiamente una crescita per me.
Boudoir Disability nello specifico mi ha permesso di conoscere tante persone straordinarie, prima Valentina, successivamente donne e uomini con disabilità, che insegnano quanto una smagliatura sia una sciocchezza, rispetto al dover lottare ogni giorno per essere considerato una persona uguale agli altri, che cerca di essere indipendente in un mondo pieno di ostacoli mentali e architettonici, con una sensualità e sessualità reale e sana.

Dopo Boudoir Disability hai intenzione di rompere un’altra barriera, quella del popolo Transgender. Il tuo prossimo progetto Boudoir Trasgender cosa cerca? Cosa vuole esprimere? Riuscire a far esprimere delle persone che sono “chiuse” dalla mentalità moderna è come poterle “farle uscire da una gabbia culturale”?

Assolutamente si. Voglio dar voce e immagine a tutti. E uso proprio lo strumento dell’immagine, quello che ci rende schiavi dell’apparenza, del giudizio, per abbattere le barriere e le discriminazioni. Come dire si guarda solo al corpo? Benissimo allora usiamo il corpo per parlare di tutte le persone, ma facciamolo in modo reale, onesto e senza ipocrisia.
Approfitto di questa intervista per rendere ufficiale la ricerca per Boudoir Transgender. Per chi si vuole candidare e capire meglio il progetto può scrivere a scuoladiboudoir@gmail.com.

Il tuo obiettivo è quello di poter far sentire libere molte persone che si sentono chiuse in quattro finte mura? Cosa senti quando riesci a vedere il sorriso di quella persona che si sente emancipata quando ti ha di fronte?
Sono felice ed è il motivo per cui faccio questo lavoro.

Ovviamente oltre a questi “progetti importanti” hai un portfolio completo, da ritratti ad una curiosa sezione “autoritratti”. Anche tu vuoi evadere da qualcosa? Cosa ti tormenta di più della società moderna?
Mi sono approcciata alla fotografia con gli autoritratti, ma all’inizio erano più psicologici, dovevo far uscire certe emozioni e soprattutto la rabbia che avevo dentro. Successivamente mi sono detta “se vuoi che la gente creda in te devi tu per prima metterti in gioco” e così ho fatto. Ho lavorato molto sulla mia femminilità che non conoscevo proprio, e piano piano l’ho liberata e mostrata.
Credo di essere una persona a volte irrequieta, perché in continuo cambiamento verso un’ambiziosa libertà mentale e d’essere. L’evasione di cui parli è proprio quella di voler togliere zavorre che non mi permettono di essere ciò che sono, ma ultimamente sono molto contenta del lavoro che ho fatto su di me, grazie anche agli autoritratti. 
Della società moderna mi dispiace la schiavitù che la gente ha del giudizio degli altri, il poco amore per se stessi e la scarsa conoscenza di sé, tutto questo fa si che le persone non riescano ad apprezzare il presente.  

Foto di Micaela Zuliani

Tecnicamente nulla da dire. Scatti puliti, e anche se uno scatto può sembrare “casuale” se lo guardi bene per più di 30 secondi percepisci che dietro c’è sempre un messaggio o un qualcosa di voluto. Ma in tutti questi scatti c’è una costante, non utilizzi la post-produzione. Come mai? Non pensi possa migliorare le foto in qualche modo?
La mia fotografia l’hanno definita vera, senza fronzoli, autentica. Io sono esattamente così, inoltre mi piace l’imperfezione perché rende unici e non omologati. L’unica post estetica che faccio è togliere i nei se sono tanti per pulire leggermente la figura e le occhiaie se la donna non si è truccata. Per il resto cerco di valorizzare il corpo sul set curando la luce e le pose. Una donna ritoccata la trovo brutta perché finta.

Qual è il tuo punto di riferimento come fotografo? Ti ispiri a qualcuno? Kara Marie? Lone Morch?
Traggo molta ispirazione dai film. Per quanto riguarda i fotografi amo Sieff, Peter Lindbergh, Jean-François Jonvelle per una fotografia più elegante, Ellen von Unwerth invece per un erotismo femminile più dichiarato. Ultimamente esplorando nuovi stili, ho scoperto Chas Ray Krider per il colore ed Elmer Batters per la fotografia alle gambe e ai piedi.

Grazie mille per aver risposto alle domande di quest’intervista Micaela, è stato un vero piacere e complimenti.

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